Roberto Ghezzi

Roberto Ghezzi, artista visivo

Bosco – cammino – seme

Riflettendo sullo spazio del sacro abbiamo deciso di affrontare un cammino.
Nella mappa è soltanto un filo incerto che collega due punti poco distanti, tra villa Cungi e la collina che la sovrasta.
Per me, sin dal primo momento, quando l’ho scelto, quasi per caso, durante il sopralluogo la settimana prima della residenza, è stato qualcosa di più.
Forse un percorso tra fuori e dentro.
Varcare un confine. Mettersi in ascolto.
Credo sia diventato tale per molti di noi.
E quella sensazione, man mano che lo ripercorrevo, si è fatta sempre più nitida e vera dentro di me.

E’ così che ha avuto inizio.

Oltre la linea automatizzata del cancello della casa che ci ha accolto, salendo lungo il sentiero in lieve pendenza che conduce alla rupe,

un’altura da cui si intravede e si intrasente la valle.
Prima è stato un vagare solitario, poi un cammino di un gruppo ristretto di pionieri, al mattino, tra odori e rumori di una foresta che non ci conosceva e che non conoscevamo.


Il percorso è immerso in un bosco, un bosco di querce, giovani ornelli e aceri campestri, piantato e tagliato mille volte dall’uomo e forse meno selvaggio dei campi che lo circondano,
ma attraversato giorno e notte da animali di cui abbiamo sentito l’odore e il rumore, visto le tracce nel fango o i cerchi nel cielo, e pieno di nuova vita, di semi e di germogli in attesa del sole .

E in quei momenti, pieno di Noi.

Più volte abbiamo percorso questo stesso sentiero, con diversa coscienza e attitudine.

Sempre più attenti ai sensi, abbandonati al suono dei passi sulle foglie, attraverso le foglie, dentro le foglie.
Giorno dopo giorno con meno parole e più pensieri.
Sarebbe impossibile dar voce in questa sede all’intima esperienza, che va soltanto vissuta, provata, accolta.

Camminare in un bosco in assoluto silenzio, in fila indiana, gli uni dietro agli altri, ascoltando il proprio respiro,

tra fusti di cerri che diventano colonne di cattedrali e alte fronde cadenti come navate

e alberi morti invasi dai muschi e stesi a terra come sacri tabernacoli incisi dal tempo.
Lasciare spazio a tutte le domande e le risposte possibili durante la salita, mentre il superfluo rotola a valle.
Percepire la presenza nello spazio attraversato, sudato, consumato,

il proprio confine o non confine nell’effimera mescolanza di un ambiente che ti accoglie e ti respinge.

Sentire che l’incedere lieve diventa afflato, preghiera, e l’attraversamento, quando si cinge di silenzio, diviene opera.

Semplice e profonda, che scende nella memoria e nell’animo e si deposita dentro, come seme caduto dal cielo..
..per germogliare, con fede, Altrove.

27.02.2021

Lungo il sentiero che conduce alla rupe ho raccolto sette semi di acero campestre e sette ghiande di cerro. E’ in questi semi la mia fede, in loro la mia cura, per una rinascita altrove di ciò che ha saputo germogliare in questo spazio sacro, in queste notti di luna piena.

Ne affido una parte ad Azzurra e Andrea, perché possano custodirli nel domani del loro giardino, insieme all’acqua di questo torrente e alla terra di questo bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Testi all’arrivo: ogni artista, sollecitato/a dal testo Sfidare la fede, di Emmanuele Curti, ha contribuito con una raccolta di riflessioni, proprie e/o di altri autori, prima dell’arrivo in residenza.

Sfidare la fede 

Sansepolcro, febbraio 2021 

spunti di riflessione e/o di partenza 

Parlare di “fede”, parlare di vita. In tutte le sue fasi, dall’infanzia in poi. Qualcosa di fluido, che mi accompagna e scivola nei mille rivoli dell’ esistenza. La modifica e ne viene a sua volta modificata.  

Incontro-perdita parziale-nuovo incontro? 

La prima fede, in qualcosa che non vedo, non conosco e in cui non so credere.  Mancanza di fede nei “profeti”, negli “intercessori”. La mia “non nascita” della  fede. 

Vangeli apocrifi

Thoreau

                                                        

Vangeli apocrifi, le fonti della mit. cristiana, Dixit itaque ei Pilatus: “ Ergo rex es tu? ”.  Respondit Iesus: “ Tu dicis quia rex sum. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut  testimonium perhibeam veritati; omnis, qui est ex veritate, audit meam vocem ”. Dicit ei  Pilatus: “ Quid est veritas? ”. Et cum hoc dixisset, iterum exivit ad Iudaeos et dicit “ Egnullam  invenio in eo causam. ” 

WALDEN, ovvero Vita nel bosco, Henry David Thoreau: Non l’amore, non i soldi, non la fede,  non la fama, non la giustizia… datemi solo la Verità. 

Recupero “empirico” di una fede laica tardo adolescenziale nell’estenuante  attesa del germogliare di un seme piantato, nella ricerca dei frutti del bosco.  Fede nella salita di un pesce per afferrare l’esca artificiale, fede  nell’immaginarsi la vista di un orizzonte, in cima a una montagna che non  pensavi di poter scalare3 4.  

La “ricostruzione” della Fede attraverso la conoscenza e l’amore per la Terra?                                                     

WALDEN, ovvero Vita nel bosco, Henry David Thoreau, pag 219, : Mentre me ne tornavo a  casa attraverso i boschi con la mia sfilza di pesci, trascinando la mia canna, nell’oscurità ormai fatta,  scorsi d’improvviso una marmotta che mi strisciava attraverso il sentiero. Provai uno strano brivido di  piacere selvaggio, e fui fortemente tentato di afferrarla e divorarla cruda; non perché avessi fame, ma  per quel qualche cosa di primitivo che essa rappresentava. Una volta o due, tuttavia, mentre vivevo al  lago, mi scopersi a correre per i boschi come un cane semiaffamato in preda a una strana sensazione  di selvaggia libertà, in cerca di qualche specie di carne selvatica che potessi divorare, e nessun pezzo  sarebbe stato troppo aspro, per me. Le scene più barbare erano diventate stranamente familiari. In  me stesso trovavo, e trovo, un istinto verso una vita più alta, o, come si dice, spirituale (come succede  a molti uomini), e per un altro verso una vita selvaggia, primitiva ed esuberante: io le accettavo  reverentemente ambedue. Amo ciò che è selvaggio non meno di ciò che è buono. I pescatori, i cacciatori, i taglialegna e altri, che trascorrono la loro vita nei campi e nei boschi, in un  senso peculiare una parte della Natura stessa, sono spesso in uno stato d’animo più favorevole per  osservarla, negli intervalli delle loro attività, che filosofi o anche poeti, che si avvicinano a lei con  aspettativa 

Il Leopardo delle nevi, Peter Matthiessen, pag. 257, Vicino alla mia postazione trovo un  luogo adatto alla meditazione, riparato dal vento: è un incavo nel pendio e la neve vi si è sciolta. Ben  presto il cervello mi si snebbia nell’aria gelida della montagna, e mi sento meglio. Vento, erbe in  movimento, sole: l’erba che muore, le note degli uccelli rivolti a sud non sono più fuggevoli della  stessa roccia, non più e non meno- tutto è lo stesso. La montagna si ritrae nel suo silenzio, il mio  corpo si dissolve nella luce del sole, e cadono lacrime che nulla hanno a che fare con l’”io”. Cosa le  spinga a scaturire non so.  

In altri tempi capivo diversamente le montagne, vedendo in esse qualcosa che perdura. Pur  avvicinandole con rispetto mi impressionavano per la loro “permanenza” fatta dell’irrefutabile e  tremenda rocciosità che pareva accentuare il senso della mia transitorietà… 

Fede in me stesso, nel mio lavoro e nei miei progetti.  

Fede negli altri. 

Accorgersi della reale “dimensione umana”, nel suo spazio e nel suo tempo.5 6 

L’origine delle specie, Charles Darwin : C’è qualcosa di grandioso in questa concezione  per cui la vita, con le sue diverse forze, è stata originariamente infusa in poche forme o in  una sola; e da un inizio così semplice, innumerevoli forme bellissime e meravigliose si  sono evolute, e tuttora si evolvono.” Con queste parole, nel 1859, Charles Darwin  concludeva la prima edizione de “L’origine delle specie” ; MicroMega, Telmo Pievani  : Se ne facciano una ragione i sostenitori di Disegni più o meno intelligenti: le evidenze  scientifiche confermano ogni giorno di più che a condizionare l’evoluzione di Homo  sapiens è stata la casuale combinazione di fattori del tutto contingenti ed ‘esterni’, in  particolare eventi climatici e fattori geografici. Sarebbe ora di accogliere l’estrema  perifericità della condizione umana nella sua tragica  

bellezza.

link

link Telmo Pievani

L’ordine del tempo, Carlo Rovelli: Il tempo non è unico: c’è una durata diversa  per ogni traiettoria; passa a ritmi diversi secondo il luogo e secondo la velocità. Non è  orientato: la differenza tra passato e futuro non c’è nelle equazioni elementari del mondo,  è un aspetto contingente che appare quando guardiamo le cose trascurando i dettagli; in  questa sfocatura il passato dell’universo era in uno stato curiosamente . La nozione di  non funziona: nel vasto universo non c’è nulla che possiamo ragionevolmente chiamare  presente. Il sostrato che determina le durate del tempo non è un’entità indipendente,  diversa dalle altre che costituiscono il mondo; è un aspetto di un campo dinamico. Questo  salta, fluttua, si concretizza solo interagendo e non è definito al di sotto di una scala  minima….Cosa resta del tempo?”

Dialogare con la Terra attraverso la ricerca artistica. 

Fede nella Natura. Fede nell’Arte.

Mark Rothko, The silence is so accurate.  

Nichilismo e fede nell’estetica di Andrej Tarkovskij di Guido Cavalli: Nella sua ultima  intervista, densissima, concessa a Le Figaro nell’ottobre del 1986, due mesi prima della sua morte,  Tarkovskij dice: 

Mi sembra che l’essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco  perché l’uomo crea. In una certa misura l’uomo crea nel cammino verso la verità. Questo è il suo  modo di esistere, e l’interrogativo sulla creazione: “Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?”, è  senza risposta. 

In questa frase, con la forza dell’intuizione poetica, Tarkovskij riesce a legare assieme e intrecciare in  maniera quasi inestricabile, senza soluzione di continuità, una dimensione teologica, una dimensione  filosofica e una dimensione artistica. Viene da domandarsi se sia consapevole oppure non si accorga  di volare, da una parola all’altra, dal senso della creaturalità dell’uomo al senso della creaturalità  dell’opera d’arte, dalla creaturalità dell’opera d’arte all’apertura della destinazione umana verso  quell’increato che è la verità, per poi tornare in un balzo da questa al senso inattingibile di quel creato  dentro al quale l’uomo vive ed ex-siste, crea e interroga. Come tirando fili invisibili che nascostamente  legano i vertici più distanti di una figura immensa, e l’ultima domanda, il baricentro di tutto è: “perché  l’arte?”. Ma questa domanda, che attraversa e raccoglie tutto, per Tarkovskij, è una domanda che  rimane senza risposta.

Altre fonti che porterò: Lo spirituale nell’arte, Wassily Kandinsky , La sparizione dell’arte, Jean Baudrillard e video : Telmo Pievani, sull’evoluzione umana

Umberto Galimberti sul sacro