Utopie Possibili

Utopie Possibili

CasermArcheologica nasce e cresce con Laura Caruso e Ilaria Margutti. Due figure complementari, molto diverse tra loro. Ilaria è un’artista e un’insegnante di storia dell’arte. Delicata, analitica, in ascolto: dello spazio, del suo mondo interiore, delle storie degli altri. Laura lavora da anni nel campo della programmazione culturale. È vulcanica, generosa, in costante e travolgente movimento. Credono moltissimo in quello che qui stanno facendo, e sono la riprova che gli opposti non solo si attraggono, ma liberano energie potenti e impreviste. Da quando l’avventura di Caserma è iniziata si compensano, si sorreggono, si scontrano, si scambiano visioni. E portano avanti ogni giorno i progetti e le scommesse che questo luogo rappresenta sul territorio, a livello artistico, politico e sociale.

Ilaria Margutti

« La Natura è un grande arazzo di cui conosciamo solo il rovescio »: è una frase del fisico John David Brown, tratta dal suo testo « Le teorie del tutto ».
È una frase che descrive molto bene il mio lavoro [alcune delle opere di Ilaria sono costruite attraverso il ricamo], ma ora che ci penso parla anche della storia di questo posto, di quello che qui da anni stiamo portando avanti. Procediamo per frammenti, per piccoli gesti quotidiani, e non possiamo sempre tenere sotto controllo tutto, essere certe di quello a cui andiamo incontro. Andiamo avanti per intuizioni, con una visione d’insieme certo, ma anche grazie agli incontri fortuiti, per legami nascosti che lavorando vengono alla luce.
In fondo Caserma è in parte un posto nato dalle coincidenze. E dal duro lavoro che è servito a onorarle.
Quando ho scoperto palazzo Muglioni, nel 2013, non conoscevo ancora a fondo la sua storia. Questo posto è stato caserma, palazzo nobiliare, fabbrica, presidio della resistente durante la guerra, forse convento durante il rinascimento. Perfino palestra: io da ragazza ci seguivo i corsi di educazione fisica, e in quelle che oggi chiamiamo le stanze del canestro ci sono ancora le spalliere, la cavallina, i cestini per il basket appunto. Qui ogni muro, ogni oggetto, racchiude anni di storie, di voci e di vite. A poco a poco mi sono appassionata alla vita di Minerva Muglioni, una donna singolare e una figura impareggiabile della vita del borgo. Nobildonna dal destino triste, era sposata a un uomo molto più grande di lei e si tolse la vita nel 1911, a soli trentasei anni. Aveva idee libere, risorgimentali e rivoluzionarie per l’epoca, e a lungo fu lei a far vivere questo posto: organizzava salotti letterari, teneva letture, incontri, concerti. E il suo spirito qui aleggia in ogni stanza. Io a quei tempi insegnavo a Montevarchi, a ottanta chilometri da qui. Per tre anni, dal 2013 al 2015, con l’aiuto di alcuni ragazzi volontari, studenti del mio liceo, abbiamo svuotato le stanze di Caserma, le abbiamo sistemate, liberate dalla polvere. Dopo il lungo lavoro di parziale sistemazione, abbiamo riportato alla vita il luogo, organizzando mostre, incontri ed eventi. Eravamo del tutto soli a quel tempo, e non c’erano fondi ad aiutarci nell’impresa. Nel 2015 il palazzo fu dichiarato inagibile dai vigili del fuoco, e la prima avventura di Caserma finì all’improvviso. Gli spazi furono chiusi e tornarono nel vuoto.
Poi l’incontro con Laura, fondamentale. A quei tempi lei lavorava per Kilowatt [il festival di teatro, performance e danza contemporanea attivo a Sansepolcro dal 2003] e organizzava residenze d’artista in case private attraverso il progetto Art Sweet Art. Ci conoscevamo da tempo, e alla rinascita di Caserma stavolta ci abbiamo creduto insieme. Nel 2016, grazie alla vittoria del bando Culturability, siamo partite per davvero. Caserma ha riaperto nel 2017, e da allora non si è più fermata. Progetti come quello di Quasar sono indispensabili per chi come noi si occupa di progettazione culturale. Figure di riferimento per andare avanti, per trovare coraggio, nuove idee, aiuto materiale ma anche spirituale, perché anche quello in progetti come il nostro fa la differenza.

Tre aggettivi che definiscono Caserma
immaginazione- trasformazione- possibilità

Un oggetto simbolo di questo posto, e perché
le porte, quando sono entrata ce ne erano tantissime, sia montate al loro posto che appoggiate sui muri o accatastate nelle stanze impolverate.
Le porte mi hanno sempre affascinato perché si possono aprire e spostare e ogni porta è l’accesso a un mondo, a un luogo a una persona che chiede di essere esplorata.

Una cosa che avrei voluto succedesse qui e non siamo (ancora) riuscite a fare
Persone, ancora più persone che abbiano necessità di vivere gli spazi di caserma, di prendersene cura e non solo di attraversarli. Di portare un altro tassello di trasformazione abitando i luoghi come studio o semplicemente come incontro.

Una cosa che qui è successa e non avrei pensato che sarebbe potuta accadere
Scoprire la storia di Minerva Muglioni, conoscere come è vissuta e come è morta, mi ha dato la possibilità di scoprire anche una parte di me stessa e di prendere in eredità non solo la gestione del palazzo, ma anche il suo racconto, che il nostro riportare alla vita la sua storia e il palazzo in cui lei ha vissuto, possa essere un riscatto.

Pensa a CasermArcheologica tra cinque anni. Cosa vedi?
Tanti giovani che progettano dentro le sue sale, immagino che possa essere una fonte di lavoro e allo stesso tempo un laboratorio per sperimentare le proprie competenze e valorizzare le proprie predisposizioni.

Tre posti in Italia, in Europa o nel mondo da cui trarre ispirazione, idee, esempi (anche negativi) e perché.
Positivo: Favara – Farm kultural Park, rigenerazione urbana che mi ha fatto da esempio per credere che prendersi cura di un luogo potesse essere una cosa possibile.
Il museo della Casa rossa di Alfredo Panzini, a Bellaria, in Emilia Romagna, che l’artista Claudio Ballestracci ha riportato alla luce grazie alla sua visione e alla sua immaginazione
Negativo: I meccanismi sottesi al mondo delle gallerie e delle fiere d’arte contemporanea, perché l’arte non è un prodotto, ma una necessità e deve essere vissuta come una esperienza di profondità e di attraversamento capace di far evolvere il pensiero e la società.

Laura Caruso

Mi piace pensare a CasermArcheologica come a un processo. Credo che la nostra missione sia portare valore a questo luogo, e al tempo stesso generarlo. Difendere la vocazione di un posto che ha radici profonde, ma al tempo stesso scriverne la cultura contemporanea.
Una delle nostre fortune, credo, è stata che quando abbiamo cominciato qui nessuno si aspettava nulla da noi: non c’erano aspettative, e questo a volte è proprio il modo migliore per iniziare. Da queste parti, in Valtiberina, un posto come Caserma rappresenta un’occasione: quella di un dialogo tra generazioni che non si conoscono, che non dialogano e difficilmente si incontrano. L’anno scorso abbiamo sviluppato il progetto di narrazione fotografica « I volti del tempo »: partivamo da alcune cianotipie anni ’30 di personaggi del borgo, insegnavamo ai ragazzi a svilupparle e poi chiedevamo loro di interpretare i ritratti in chiave contemporanea. Credo sia in un certo senso quello che facciamo anche noi ogni giorno, con l’aiuto di chi lavora con noi: facciamo da ponte, preserviamo quello che è stato ma soprattutto ci inventiamo un futuro. In questo senso, aldilà, del fascino del palazzo in cui siamo, della sua storia pluricentenaria e delle iniziative che qui si svolgono, rappresentiamo un caso unico sul territorio.
Credo che l’arte possa essere attivatrice di processi. E caserma difatti è un processo, sempre in corso, al lavoro e in continua evoluzione. Diamo fiducia alle persone e chiediamo che ci venga riconosciuto un ruolo. Sul territorio, nel tessuto sociale, nelle pratiche che ogni giorno vengono messe in atto. Siamo un’agenda urbana, un’esperienza tangibile con un suo codice valoriale ben preciso e tradotto in fare quotidiano. Rispetto, antifascismo, impegno, fatica e confronto: aldilà delle singole pratiche artistiche – se tutto questo dovesse finire domani – avremmo dato un contributo ben preciso a questo tempo, con dei punti ben saldi. Prima di arrivare qui pensavo che i progetti potessero essere autoportanti, ma anche il luogo ha la sua parte. Oggi so che non puoi replicare un progetto come quello di Caserma ovunque. È nato, pensato, cresciuto tra queste mura. Ma puoi generare appunto prototipi, lavorare allo sviluppo di pratiche e di pensiero che possono essere modulate, proposte altrove. È ovvio che ogni realtà, ogni luogo è diverso, ma io lavoro ogni giorno con l’obiettivo e la speranza di dar vita non solo a singole esperienze, ma a dei prototipi. Pezzettini di storia replicabili, fattibili anche da qualcuno che non siamo noi, che possano essere tramandati. In questo senso, in fondo, qui oltre che di arte ci occupiamo di pratica politica.

Tre aggettivi che definiscono Caserma
Accogliente, stimolante, inesauribile.

Un oggetto simbolo di questo posto, e perché
La Fenice, una decorazione in uno dei muri scrostati nella stanza rosa; l’abbiamo trovata mentre allestivamo “Agibile”, la mostra di riapertura nel 2017. Fino ad allora non l’avevamo notata. Caserma sorprende sempre, lo spazio è un interlocutore del processo in corso, ci dice delle cose al momento giusto e chiama all’ascolto.

Una cosa che avresti voluto succedesse qui e non siete (ancora) riuscite a fare
Vorrei che Caserma fosse maggiormente un punto di riferimento per chi sta immaginando forme nuove per lavorare in questo territorio. Già tanti la frequentano, alcuni sono giovani professionisti che sono rimasti in Valtiberina, sperimentando forme d’impresa innovativa. Mi piacerebbe che Caserma fosse maggiormente un aiuto per tutte queste persone. Ci stiamo lavorando.

Una cosa che qui è successa e non avresti pensato che sarebbe potuta accadere
Sicuramente lo studio di musica trap. I ragazzi dello studio sono  a Casermarcheologica da un anno. Fanno un genere musicale che non conoscevo e non immaginavamo quanti ragazzi in Valtiberina siano coinvolti nella composizione di testi e musica. C’è tutta una creatività underground che segue sue dinamiche e sue logiche. Siamo felici di veder succedere tutto questo sotto i nostri occhi. È proprio un esempio di come uno spazio rigenerato possa essere abilitante soprattuto nella parte di non-progettato. La sala dello studio era prima l’ufficio dell’Associazione, poi avevamo immaginato una cucina perché comunque sentivamo che era ancora uno spazio non risolto. Ancor prima di poter finire i lavori della cucina sono arrivati i musicisti. Abbiamo quindi riadattato i nostri piani e ci siamo fidate dello spazio che si prestava benissimo alle loro esigenze. Oggi siamo felici della scelta fatta.

Pensa a CasermArcheologica tra cinque anni. Cosa vedi?
La vedo in parte così come è ora, e vedo anche le nuove sale che verranno ristrutturate a partire dal 2021. In quei nuovi ambienti immaginiamo attività che mettano insieme l’artigianato tradizionale del territorio e l’arte contemporanea. Ci auguriamo possano arrivare persone dall’Italia e dall’estero che vogliono imparare e conoscere tecniche e attitudini progettuali. In particolare tra cinque anni vedo Caserma ancora più densa di attività diverse che possano svolgersi contemporaneamente, sia per una maggiore disponibilità di spazi, sia perché immagino e spero che – come sta succedendo – ancora più realtà del territorio e non solo avranno desiderio di svolgere qui le proprie attività, alcune di quelle già avviate e altre che magari lo spazio stesso potrà ispirare.

Tre posti in Italia, in Europa o nel mondo da cui trarre ispirazione, idee, esempi (anche negativi) e perché.
Casermarcheologica è cresciuta molto e in tempi relativamente brevi grazie al fatto che siamo inseriti in una comunità di pratiche e di pensiero a livello nazionale che oggi è una rete ufficializzata. Questa rete è Lo Stato dei Luoghi (www.lostatodeiluoghi.com). Qui confluiscono tanti spazi (ben più di tre, al momento siamo 66 da tutta Italia e stiamo crescendo), ma soprattutto operatori, che per noi sono un confronto imprescindibile, una risorsa molto importante; sono esempi a cui guardiamo, ma insieme siamo anche un laboratorio costante di riflessione su quali forme la cultura può assumere per costituire davvero un presidio per le comunità, di produzione artistica, di coesione, di elaborazione di immaginari per il futuro, secondo un modello che supera l’idea di centro e margine ma è piuttosto policentrico. I territori, quelli finora chiamati “marginali”, le aree interne, le città piccole, di provincia, si stanno dimostrando fertili di creatività e di innovazione in tanti campi. Credo che in questi anni stiamo assistendo al configurarsi di nuovi modelli di produzione culturale (a cui diamo il nome di Rigenerazione Urbana a base culturale), che ancora non sono perfettamente codificati perché è davvero difficile tenerli dentro un unico modello, sono luoghi ibridi dove la produzione artistica (spesso in co-creazione) si ibrida con l’artigianato e l’agricoltura sostenibile, dove è difficile marcare il confine tra cultura e urbanistica, il tutto sempre tenendo come riferimento l’impatto sociale e l’obiettivo di creare nuovi modelli di welfare culturale. E’ un percorso complesso ma entusiasmante, e ci piacerebbe che, in un tempo non troppo lontano, ottenesse un riconoscimento istituzionale. Ci stiamo lavorando.